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La “rivoluzione romana” – Cesare Augusto e la costruzione dell’impero

Gaio Ottavio nasce a Roma il 23 settembre del 63 a.C. Il padre, Gaio Ottavio anch’egli, è originario di Velletri e viene da una famiglia “borghese” di solida posizione economica grazie al patrimonio accumulato dal nonno in attività finanziarie (prestiti a interessi da usura), patrimonio che ha permesso a Gaio Ottavio padre di ambire a entrare in Senato e di sposare una donna dell’alta società romana, Azia (figlia del senatore M. Azio Balbo e di Giulia, sorella di Giulio Cesare).

Dopo aver ricoperto alcune cariche politiche, Gaio Ottavio padre muore ancora giovane nel 59 a.C., quando il figlio ha appena 4 anni.
Azia si risposa (a Roma una donna dell’alta società, per di più nipote di Cesare, non poteva restare vedova a lungo), ma il piccolo Gaio Ottavio va a vivere con la nonna Giulia fino alla morte di questa nel 51. Torna allora con la madre e il patrigno, che seguono da vicino la sua educazione culturale (lettere latine e greche, retorica, oratoria) e morale (valori austeri e rigorosi, controllo rigido sulle attività extradomestiche, in un clima perbenista e un po’ bigotto). Azia combina per il figlio un fidanzamento con la figlia di P. Servilio Isaurico, console nel 48 a.C., figlio di una matrona che era stata amante e rispettata consigliera di Giulio Cesare.

Nel 47 a.C., dopo la guerra civile tra Cesare e Pompeo, lo stesso Giulio Cesare prende sotto la sua tutela il giovane Gaio Ottavio, suo pronipote, che nonostante la giovane età si mostra serio e assennato, e lo fa nominare a una prima carica pubblica in Roma.
Cesare non ha avuto figli dalle sue moglie romane [Cossuzia (forse solo fidanzata) 86-84; Cornelia Cinna 83-68 (morta poi di parto), da cui la figlia Giulia nel 76 (moglie di Pompeo e morta anche lei di parto); Pompea 68-62; Calpurnia 59-44]; ha avuto un figlio da Cleopatra, che non può però essere riconosciuto legittimo in Roma perché frutto di una relazione adulterina con una regina straniera); riversa perciò sul figlio della nipote l’aspirazione ad avere una legittima discendenza.

La salute cagionevole e le attenzioni ossessive della madre impediscono al giovane Ottavio di seguire lo zio nelle campagne militari contro i pompeiani del 47 e 46 in Africa e Spagna; raggiunge Cesare in Spagna solo alla fine della campagna, collaborando con lui nell’amministrazione della giustizia e nella riorganizzazione di quella provincia.

Tornato a Roma, va a vivere per proprio conto ma senza staccarsi troppo dalla madre e senza usare la sua casa per una vita dissipata com’era tipico dei giovani dell’alta società. Ma verso la fine del 45 a.C. Cesare lo nomina capo della cavalleria in vista di una grandiosa spedizione contro i Parti progettata per l’anno successivo. Lascia allora Roma per Apollonia (oggi in Albania), dove devono concentrarsi le truppe, accompagnato dal fedele amico e coetaneo M. Vipsanio Agrippa e dal retore Apollodoro di Pergamo, pedagogo e custode dei due giovani.

Nel marzo del 44 un liberto di Azia lo raggiunge in gran fetta con una lettera: Azia gli comunica l’uccisione di Cesare in Senato (15 marzo) e gli chiede di tornare, consapevole dei pericoli che minacciano la parentela del defunto dittatore. Traversato lo Ionio, sbarca in Calabria, dove apprende la notizia, esaltante ma pericolosa, che Cesare nel suo testamento lo ha adottato come figlio, lasciandolo erede del suo nome e del suo patrimonio.

Ottavio può raccogliere informazioni più precise sull’assassinio di Cesare e sugli avvenimenti immediatamente successivi:

  • i congiurati sono persone che sono state vicine al dittatore, che hanno ricevuto da lui onori e cariche; li capeggiano M. Giunio Bruto (figlio di quella Servilia che era stata amante di Cesare) e G. Cassio Longino, che, assassinando Cesare, hanno voluto – così si dice ufficialmente – agire in difesa della libertà repubblicana minacciata, riportando tutto il potere nelle mani dell’oligarchia senatoria (in realtà alcuni di loro mossi da risentimento per interessi molto più privati);
  • i cesaricidi si sono asserragliati sul Campidoglio, timorosi delle reazioni della plebe romana e dei veterani di Cesare confluiti a Roma. Per iniziativa di M. Tullio Cicerone, due giorni dopo la morte di Cesare (il 17 marzo) si è giunti a una soluzione di compromesso: da un lato si è accolta la proposta di M. Antonio, console quell’anno e fedele di Cesare, di considerare validi gli ultimi atti stilati da Cesare che distribuiscono per il quinquennio successivo le cariche cittadine e quelle nelle province; d’altro lato è stata varata un’amnistia per i cesaricidi (in buona sostanza, dietro la facciata di una ricerca di concordia si sono voluti garantire gli interessi costituiti: non toccare le cariche già distribuite da Cesare).

Ma Ottavio apprende anche che:

  • quel fragile equilibrio tra cesariani e cesaricidi si è rotto il giorno dei funerali di Cesare: la plebe urbana e i veterani di Cesare, sobillati da Antonio, hanno cominciato a tumultuare e a chiedere vendetta; Bruto e Cassio hanno dovuto allontanarsi da Roma, ormai nelle mani di Antonio, che però ha represso con la forza i più agitati tra il popolo;
  • intanto Antonio si è impadronito delle carte di Cesare e ha scoperto che nel testamento l’erede del dittatore non è lui – come si era aspettato – ma il nipote di Cesare, addirittura adottato come figlio.

Azia e il marito, timorosi per i pericoli che incombono su Ottavio, gli scrivono sconsigliandolo di accettare l’adozione di Cesare. Ma in Ottavio è intervenuto un cambiamento profondo: l’adozione da parte di Cesare e il fatto di potersi ora chiamare egli stesso Cesare (= G. Giulio Cesare Ottaviano), lo fanno sentire come investito di una missione. Il giovane Ottavio, educato da Azia in modo severo e tradizionale, si trasforma inaspettatamente in un politico spregiudicato ed estremamente accorto. Ottavio decide di partire per Roma.

Appena arrivato, si rende subito conto che

  • la posizione dei cesaricidi, che se ne sono andati da Roma, è debole: non hanno seguito né tra la plebe urbana né tra i comandanti delle legioni nelle province;
  • il Senato, assottigliato nei vecchi esponenti dalla recente guerra civile tra Cesare e Pompeo e rimpinguato da cesariani privi di esperienza e prestigio, è per lo più una compagine moderata e senza una linea decisa;
  • le forze armate stanziate nelle province non si muovono;
  • il vero avversario è Antonio, che, in quanto console in carica, è una specie di capo del governo.

Ottaviano, per affermare il suo ruolo di figlio adottivo e di erede di Cesare, si muove in più direzioni: prende contatto con il gruppo dei cesariani più fedeli e intransigenti non del giro di Antonio e va a incontrare i veterani di Cesare dislocati in Campania (che lo accolgono con simpatia), ma va anche a trovare Cicerone, autorevole esponente dei senatori, facendosi accompagnare da un gruppo di amici che lo chiamano Cesare (tra questi l’inseparabile Agrippa).

Antonio trama di nascosto per far ritardare la ratifica dell’adozione di Ottavio come figlio di Cesare, Ottavio ha fretta di entrare legittimamente in possesso del nome di Cesare e soprattutto dell’enorme eredità (che Antonio custodisce personalmente da quando si è impadronito del testamento di Cesare). Dopo lunghe trattative, l’adozione di Ottavio viene sancita per legge e Ottavio diventa “Cesare figlio”: non ha cariche pubbliche, quindi è privo di un potere legale, ma sa di poter contare sull’appoggio della plebe di Roma e soprattutto dei veterani di Cesare dislocati in Italia (per servirsene, in caso di bisogno, contro Antonio e contro il Senato); con l’eredità può all’evenienza arruolare truppe a lui fedeli.

Antonio si prepara un futuro di potere (governare una provincia) una volta scaduto di carica da console: gli è stata assegnata la Macedonia, ma vorrebbe la Gallia Cisalpina (Italia del nord), zona cruciale da cui si può controllare l’Italia e Roma, che Cesare ha però assegnato a Decimo Giunio Bruto Albino (poi tra gli uccisori di Cesare); così nel giugno di quell’anno, con una sorta di legge ad personam (assai contestata in senato), fa togliere a Decimo Bruto la Gallia Cisalpina e la fa assegnare a se stesso per 5 anni, mentre fa assegnare incarichi lontani dall’Italia a Bruto e Cassio (che già hanno abbandonato Roma). Ma Decimo Bruto si è già installato in Cisalpina, ben prima dell’inizio del nuovo anno (quando dovrebbe iniziare il suo mandato).

Ai primi di ottobre Antonio parte per Brindisi con l’intenzione di raccogliere al suo seguito 4 legioni provenienti dalla Macedonia per utilizzarle contro Decimo Bruto (ed eventualmente contro il Senato). Ottaviano arruola in Campania i veterani di Cesare e con queste truppe ai primi di novembre marcia su Roma, in aperta violazione della legalità. Ma queste forze non sono sufficienti per un controllo totale della città, e allora Ottaviano stringe un’alleanza con il Senato (tra cui Cicerone, che capeggia l’ala che è stata anticesariana): alleanza quasi obbligata (entrambi vedono in Antonio il nemico più pericoloso) e spregiudicata (tra i senatori ci sono parecchi dei congiurati contro Cesare). Con plateale mossa da giocatore politico, Ottaviano si mette agli “ordini” del Senato e, nascondendo abilmente le sue vere intenzioni, finge un rapporto di devozione nei confronti di Cicerone che, da vecchio e consumato statista, crede di poter manovrare il giovanotto usandolo per distruggere Antonio e i cesariani.

Agli inizi dell’anno 43 a.C. Antonio si muove con le truppe a lui fedeli verso la Cisalpina per togliere di mezzo Decimo Bruto, che si asserraglia in Modena deciso a non mollare la provincia in cui si è installato da vari mesi. In un Senato incerto e privo di elementi veramente trainanti, Cicerone si batte per fermare Antonio (lo ha attaccato duramente con le sue “Filippiche”) e ottiene che si ordini un’operazione militare contro di lui e a favore di Decimo Bruto, affidandone il comando ai consoli di quell’anno, Aulo Irzio e Vibio Pansa (ex-cesariani entrati in buoni rapporti con Cicerone).

Ottaviano, che ha ottenuto grazie a Cicerone la legalizzazione del suo esercito privato (dunque la legittimazione di un’illegalità) e la nomina a propretore, mette le sue truppe al servizio dei consoli per poter prendere parte alle operazioni contro Antonio. Così però appare ridimensionato sul campo e, prevedibilmente, destinato a perdere tutto alla fine delle operazioni perché, in caso di vittoria dei consoli, difficilmente le sue truppe potrebbero sottrarsi agli ordini degli stessi consoli. Ottaviano si convince che in questo momento i due consoli stanno diventando il principale ostacolo alla sua futura carriera; il gioco di schierarsi col Senato potrebbe fallirgli tra le mani.

Mentre giunge a Roma notizia che Bruto e Cassio si sono creati una forte base di potere in Grecia e in Siria, impadronendosi del comando di quelle province e degli eserciti là stanziati, prima Irzio e poi Pansa avviano le rispettive truppe verso la pianura padana per attaccare Antonio (che assedia Decimo Bruto a Modena). Con una mossa a sorpresa Antonio attacca le truppe di Pansa tra Modena e Bologna e le mette in grave difficoltà; Pansa viene ferito nello scontro, ma viene messo in salvo. Sopraggiunge l’esercito di Irzio, che attacca le truppe di Antonio, infliggendogli una sconfitta con molti morti.

Antonio torna ad assediare Decimo Bruto a Modena, Irzio e Ottaviano cercano di costringerlo allo scontro provando a spezzare l’assedio alla città. Scoppia la battaglia, nella quale Irzio viene ucciso. Due giorni dopo anche Pansa, in precedenza ferito, muore.

E qui si apre il “giallo” della morte dei due consoli, perché:

  1. circola voce che Ottaviano non abbia solo ricuperato il cadavere di Irzio ma l’abbia ammazzato lui stesso;
  2. il medico di Pansa viene incarcerato perché sospettato di aver avvelenato le ferite del console (verrà però scarcerato e nessuno nei mesi successivi indagherà più sulla morte di Pansa);
  3. è morto in battaglia anche L. Ponzio Aquila (uno dei cesaricidi), che il Senato ha inserito tra le truppe di Irzio e Pansa per “controllare” i due consoli.

= Troppe morti eccellenti (assai utili a Ottaviano per rimanere solo al comando degli eserciti e puntare a diventare console) per non destare dei sospetti.

La battaglia di Modena è comunque una sconfitta di Antonio, perché è stato attaccato anche dalle truppe di Decimo Bruto uscite da Modena. Ma Antonio sconfitto non viene inseguito da Ottaviano, la cui unica mira è ora quella di ottenere il consolato. A Roma l’esito della guerra di Modena suscita grande entusiasmo nel Senato, che dichiara Antonio “nemico pubblico” e affida a Decimo Bruto il compito di continuare la guerra contro di lui. Antonio si sposta verso la Gallia per cercare di unirsi alle forze di due suoi possibili alleati, L. Munazio Planco (governatore della Gallia Comata) e M. Emilio Lepido (governatore della Gallia Narbonense).

La situazione di Ottaviano appare precaria:

  • dovrebbe consegnare le sue truppe (accresciute di quelle di Pansa) a Decimo Bruto, perdendo così la sua forza militare;
  • se Decimo Bruto dovesse battere Antonio e i suoi alleati, il Senato non avrebbe più bisogno di lui;
  • se Decimo Bruto e Antonio volessero mettersi d’accordo (i cambiamenti di alleanze in tempi di guerre civili non sorprendono), Ottaviano sarebbe schiacciato tra questi ex-cesariani e i cesaricidi Bruto e Cassio, la cui posizione in Oriente è stata legalizzata dal Senato e che potrebbero venire in l’Italia con i loro eserciti.

Ottaviano capisce che è tempo che i cesariani rivedano le loro posizioni: è più conveniente che si uniscano; si rifiuta di consegnare le sue truppe e attende gli esiti delle manovre di Antonio. A maggio Antonio è in Gallia Narbonense e si unisce alle truppe di Lepido; Munazio Planco è incerto se mantenersi leale col Senato e unirsi a Decimo Bruto o schierarsi con Antonio e Lepido, ma alla fine sceglie Antonio e Lepido; Decimo Bruto, abbandonato dalle sue truppe, è ucciso in territorio alpino da un capotribù gallo.

Ottaviano chiede al Senato di appoggiare la sua elezione a console, il senato rifiuta, Ottaviano decide di marciare su Roma con le sue truppe. Due legioni richiamate dall’Africa passano dalla sua parte. Ottaviano arriva a Roma senza ostacoli, lascia fuori città le sue truppe perché ci siano “libere elezioni”: il popolo lo elegge console il 19 agosto.

Il primo atto ufficiale è una legge che revoca l’amnistia per i cesaricidi e istituisce un tribunale speciale per processarli. Ma il problema principale è fare i conti con Antonio. Solo che in Oriente sta crescendo la forza di Bruto e Cassio, e in Occidente gli esponenti di spicco dei cesariani che dispongono di eserciti (Emilio Lepido, Munazio Planco, Asinio Pollione) non vogliono uno scontro tra Antonio e Cesare figlio (dietro di loro c’è la spinta di parecchie decine di migliaia di soldati e gli interessi di gruppi sociali che vogliono rovesciare la vecchia classe dirigente); così, su mediazione di Lepido, Antonio e Ottaviano si incontrano presso Bologna (ottobre 43 a.C.).

Due giorni di trattative decidono le sorti del mondo romano: per un periodo di 5 anni tre uomini (Antonio, Ottaviano e Lepido) deterranno un potere enorme e arbitrario con lo scopo di “riorganizzare la repubblica” (tresviri rei publicae constituendae). E’ il “secondo triumvirato”: non una semplice alleanza privata per condizionare le sorti dello stato, come il primo triumvirato (costituito nel 60 a.C. da Cesare, Pompeo e Crasso), ma una vera e propria magistratura sancita da una legge (Lex Titia, novembre 43 a.C.). Una dittatura a tre mascherata di legalità: il triumvirato, magistratura inedita e non prevista nei normali istituti repubblicani, è l’iniziativa con cui tre potenti con i loro sostenitori affermano i propri interessi e quelli dei loro gruppi in uno stato in cui la violenza come lotta politica è da tempo endemica.

Per condurre la guerra contro i cesaricidi (divenuti fuorilegge da perseguire) – guerra che si preannuncia costosa per la forza militare di cui dispongono in Oriente Bruto e Cassio – e per eliminare i loro oppositori non solo politicamente ma anche fisicamente, i triumviri ordinano le “proscrizioni”: nemici o presunti tali vengono inseriti in liste di persone da eliminare, i proscritti sono privati di ogni diritto, chiunque li può uccidere e se porta la loro testa riceve un premio in denaro, i loro beni vengono confiscati e passano direttamente nelle casse dei triumviri. Dopo aver violato il diritto pubblico, ora i triumviri aboliscono i diritti privati dei cittadini. Si instaura un clima di terrore e di illegalità: delatori e sicari cominciano la caccia, per molti è l’occasione per abbandonarsi a vendette private e arricchirsi con la violenza.

Molti senatori vengono uccisi (tra questi Cicerone), altri fuggono dall’Italia. I più colpiti dalle proscrizioni sono cittadini ricchi, le cui proprietà fanno gola a profittatori senza scrupoli. I beni dei proscritti sono confiscati e messi in vendita, molti affaristi ne approfittano per comprare a prezzi vantaggiosi case e terreni. In più i triumviri impongono prelievi forzosi sui cittadini benestanti: serve molto denaro per pagare gli eserciti dei cesariani (attualmente 43 legioni!).

Le proscrizioni determinano una vera e propria rivoluzione sociale: un’ampia fetta di ricchezza viene trasferita dalla vecchia classe dirigente verso due gruppi sociali: i nuovi ceti medi (soprattutto la borghesia degli affari) e il proletariato militare; si compie un forte ricambio della classe dirigente: il Senato si gonfia (fino a 1000 membri) di gente al seguito dei triumviri, individui spesso di dubbia reputazione e arricchiti con metodi assai spregiudicati; nelle magistrature e nei vari incarichi dirigenti si infilano individui non eletti ma nominati direttamente dai triumviri.

La distruzione della vecchia classe dirigente si completa l’anno dopo sul campo di battaglia: nell’ottobre del 42 L’esercito di Ottaviano e Antonio si scontra a Filippi in Macedonia con le forze di Bruto e Cassio, presso cui sono confluiti molti esponenti del vecchio gruppo dirigente e che hanno radunato tutte le truppe dislocate nelle province orientali. In due sanguinose battaglie a distanza di venti giorni, in cui emerge soprattutto la capacità militare di Antonio, Bruto e Cassio vengono sconfitti e si uccidono; molti esponenti della vecchia aristocrazia muoiono in battaglia.

Il vero vincitore di Filippi è Antonio, sia per la sua abilità di comando che per l’efficienza dei suoi veterani; è lui perciò a dettare le condizioni della vittoria. Egli si prende il controllo di tutte le province d’Oriente e di Gallia e Spagna in Occidente, a Lepido viene concesso il governo del nord Africa, Ottaviano ottiene il governo dell’Italia con il compito di ricondurvi l’esercito, fornire il mantenimento alle truppe da tenere in servizio e distribuire le terre promesse ai veterani da congedare. Compito ingrato, quest’ultimo, perché comporta l’esproprio di terre e la cacciata dei vecchi proprietari (e Antonio è convinto che Ottaviano ne uscirà travolto), ma importante perché realizzandolo Ottaviano si garantisce la fedeltà dell’esercito.

Le operazioni di esproprio suscitano il malcontento di varie città dell’Italia centrale, a cui si unisce l’azione di Lucio Antonio e Fulvia, rispettivamente fratello e terza moglie di Marco. Ma Marco Antonio dall’Oriente non si muove. Ottaviano e Lucio Antonio si scontrano (guerra di Perugia, 41-40 a.C.) e L. Antonio esce sconfitto.

Fulvia è la madre di una Clodia che nel 43, a suggello dell’alleanza politica stretta col triumvirato, è stata data in moglie, ancora ragazzina, ad Ottaviano (che per questo ha rotto il fidanzamento con Servilia, combinato anni prima da Azia). Ma nel 41, dopo la guerra di Perugia, a significare la rottura di ogni rapporto con Fulvia, Ottaviano ripudia Clodia e, mettendo in atto una sapiente strategia matrimoniale, sposa Scribonia, parente di Sesto Pompeo, di alcuni anni più vecchia e con già due matrimoni alle spalle. Sesto Pompeo è figlio di Pompeo magno, l’avversario di Cesare morto nel 48; nominato dal senato capo della flotta di Roma dopo la morte di Cesare, poi proscritto dai triumviri, si è dato alla guerra marittima contro di loro, occupando Sicilia e Sardegna, saccheggiando il litorale italiano e ostacolando i rifornimenti granari dall’Africa. Il matrimonio con Scribonia è quindi per Ottaviano un mezzo per non avere Sesto Pompeo come nemico, mentre Antonio si sta rafforzando in Oriente in seguito al legame con Cleopatra e alla costruzione, al posto delle province romane, di un sistema di regni vassalli (affidati ai figli di Cleopatra, a generali greci o a principi locali) con perno in Egitto.

A seguito della guerra di Perugia, Antonio, incontratosi in Grecia con Fulvia, si muove minacciosamente in forze verso l’Italia; ma, grazie ad abili mediatori (in particolare Mecenate), lo scontro con Ottaviano viene evitato. I triumviri confermano la loro alleanza (patto di Brindisi, autunno del 40 a.C.) e ridefiniscono la spartizione del mondo romano: ad Antonio i territori dell’Oriente, ad Ottaviano l’Italia e le province d’Occidente, a Lepido il Nord-Africa. Essendo nel frattempo morta Fulvia, Antonio per suggellare gli accordi deve sposare Ottavia, sorella di Ottaviano da poco vedova.

Nel 39 a.C. con l’accordo di Miseno a Sesto Pompeo viene riconosciuto il dominio su Sicilia, Sardegna e Corsica. Ma Ottaviano non intende convivere facilmente con lui, e ancora una volta una scelta privata anticipa quella politica: all’inizio del 38 Ottaviano ripudia Scribonia per sposare Livia Drusilla, che il marito Tiberio Claudio Nerone si è affrettato a ripudiare per consentire quel matrimonio; questo provoca scandalo perché al momento delle nuove nozze Livia è ancora incinta del primo marito, ma costui, che in passato ha dovuto abbandonare Roma in seguito alle proscrizioni, ha ritenuto – secondo una logica largamente condivisa nel suo ceto – opportuno questo matrimonio che mette se stesso e i figli (quello già nato, il futuro imperatore Tiberio, e quello che Livia porta in grembo, Druso) sotto la protezione del potente triumviro. Politicamente, con questo matrimonio Ottaviano si avvicina al potentissimo clan dei Claudii e mostra di voler cessare ogni desiderio di ulteriori vendette con la vecchia aristocrazia romana.

Nel 37, alla sua scadenza, il triumvirato viene rinnovato con un’apposita legge per altri 5 anni. Ottaviano, sicuro dell’alleanza con Antonio e dei nuovi appoggi acquisiti in Roma, può muovere guerra a Sesto Pompeo. L’anno dopo nella grande battaglia navale di Nauloco presso Milazzo (settembre 36) la flotta di Ottaviano, comandata da M. Vipsanio Agrippa, sconfigge quella di Sesto Pompeo, che fugge in Oriente (e l’anno dopo verrà catturato e ucciso da un ufficiale di Antonio). Intanto Lepido, ormai indebolito militarmente e politicamente (dopo la sconfitta di Sesto Pompeo ha cercato di occupare la Sicilia per sé, ma è stato abbandonato dalle sue truppe), viene messo da parte; la carica di pontefice massimo gli salva la vita (morirà nel 13 a.C.).

In Oriente Antonio progetta una grande spedizione contro i Parti. Questi hanno già attaccato nel 40 i territori romani tra Siria e Palestina; dopo alcuni rovesci iniziali, le truppe mandate da Antonio li hanno respinti. L’obiettivo del triumviro è di realizzare quella spedizione che Cesare ha preparato ma non ha potuto condurre, ottenere una vittoria prestigiosa contro un nemico particolarmente temuto e rafforzare la difesa dei territori orientali sotto controllo romano. Una prima campagna militare nel 36 non porta a successi, due anni dopo viene conquistata l’Armenia.

Ottaviano appare sempre più preoccupato che Antonio, ormai signore di tutto l’Oriente, una volta scaduto il rinnovo del triumvirato possa muovere in forze su Roma e l’Italia. Così all’inizio del 33 a.C., appena eletto console, denuncia la politica orientale del collega, accusandolo di aver donato territori romani a Cleopatra e ai suoi figli. Antonio risponde denunciando i torti subiti ad opera del cognato e la deposizione di Lepido.

In una Roma sempre più controllata da Ottaviano, 300 senatori se ne vanno a raggiungere Antonio. Questi dispone ormai di un esercito di 30 legioni e di una flotta poderosa. Nell’estate del 33 Antonio ripudia Ottavia, e Ottaviano trasforma l’offesa recata alla sorella e a lui in un’offesa a Roma e all’Italia: viene dichiarata guerra a Cleopatra e all’Egitto, mentre forti dissensi sorgono tra alcuni dei più eminenti sostenitori di Antonio e in Italia si mette in moto una propaganda contro Antonio. Ma Ottaviano ha bisogno di assicurarsi la fedeltà delle sue legioni, e allora impone tasse senza precedenti (il prelievo di ¼ del reddito annuo di ogni cittadino maschio e la richiesta a ogni città di versare contributi per l’esercito), che fanno scoppiare disordini.

Ottaviano capisce che deve procurarsi una sanzione pubblica per i suoi poteri arbitrari e un pubblico mandato per giustificare una guerra contro Antonio: nel 32 viene organizzata una sorta di plebiscito, la messinscena, attuata attraverso agitazioni in varie città, di una specie di votazione con la quale le varie comunità dell’Italia giurano fedeltà ad Ottaviano e lo nominano capo della guerra contro Cleopatra (cioè contro Antonio). Così, un po’ con la propaganda e un po’ con l’intimidazione, l’Italia viene costretta a sostenere un conflitto che è fatto passare per una guerra nazionale mentre è una contesa legata alle ambizioni di due capi che aspirano a tutto il potere.

Anche nelle province d’Occidente (Gallia e Spagna) si costruisce un consenso a favore di Ottaviano e le truppe qui dislocate vengono affidate al comando di suoi fedelissimi, mentre l’intero Senato e molti altri importanti cittadini di Roma devono prepararsi a seguire l’esercito di Ottaviano che muove verso Oriente. Antonio, che è in Grecia con l’esercito e la flotta (vettovagliati dall’Egitto con navi granarie), non prende l’iniziativa di attaccare, per più ragioni: invadere l’Italia a fianco di Cleopatra sarebbe un danno di immagine, allontanarsi troppo dai rifornimenti e dai rinforzi sarebbe pericoloso, meglio sperare di attirare l’avversario lontano dall’Italia.

Dopo alcuni successi della flotta di Ottaviano comandata da Agrippa, alcuni vassalli e ufficiali di Antonio cominciano a disertare. Il 2 settembre del 31 a.C. nelle acque presso Azio le due flotte si scontrano: quando le sorti della battaglia si profilano negative per Antonio e tra le sue fila aumentano le diserzioni, Cleopatra fugge con la sua flotta e Antonio la segue: è la vittoria di Agrippa e Ottaviano.

Nell’estate del 30 Ottaviano muove contro l’Egitto passando dalla Siria e Palestina: dopo breve resistenza Antonio è sconfitto e si uccide, seguito qualche giorno dopo da Cleopatra. Verso una parte dei seguaci di Antonio Ottaviano si mostra clemente, mentre il figlio di Cleopatra e Cesare viene ucciso e dei figli di Cleopatra e Antonio, dapprima portati a Roma, si perdono le notizie. Ottaviano s’impossessa dell’Egitto come sua proprietà personale.

Dopo aver risistemato l’Oriente con una serie di stati vassalli e alcune province (dunque senza stravolgere di molto quanto fatto da Antonio), nell’estate del 29 Ottaviano rientra in Roma. Tra i primi provvedimenti è il congedo di almeno la metà dei soldati che sono stati arruolati negli anni precedenti per conto dei vari capi in lotta: vengono sistemati in colonie in Italia e nelle province su terreni confiscati a città e singoli che hanno parteggiato per Antonio o acquistati con parte del bottino di guerra o col tesoro d’Egitto. E’ l’assestamento della proprietà quale uscita dalla “rivoluzione” delle guerre civili.

Il problema per Ottaviano è ora di tradurre l’enorme potere concentrato nelle sue mani (ottenuto essenzialmente con la forza degli eserciti) in un nuovo assetto costituzionale. Nel 27 a.C. compie un primo passo decisivo e fondamentale: in una seduta del Senato abilmente orchestrata per apparire come il momento in cui si restaura la legalità della Repubblica romana, Ottaviano depone i poteri straordinari conferitigli in precedenza, conservando solo la carica di console (a cui è stato sempre rieletto da alcuni anni) e reintegra Senato e assemblee popolari nelle loro competenze costituzionali; il Senato gli conferisce il governo come proconsole di 12 delle 19 province che costituiscono il dominio romano fuori dell’Italia (province in cui sono dislocati eserciti), mentre l’Italia e le altre 7 province costituiscono il territorio della Repubblica romana. Così il potere “imperiale” di Ottaviano non si sovrappone più (teoricamente) sulle istituzioni repubblicane ma si organizza al di fuori del territorio della Repubblica (governato dal Senato e dalle istituzioni repubblicane tradizionali). Solo che Ottaviano, oltre ad essere titolare di un potere imperiale esterno al territorio della Repubblica, è anche cittadino di questa Repubblica, e non è un cittadino qualunque, ma un uomo molto autorevole (da qui il titolo Augusto, conferitogli proprio nel 27 a.C.) che può condizionare il funzionamento delle istituzioni repubblicane: insomma, una Repubblica “tutelata” da un princeps (= un “principato”).

Ma negli anni seguenti si fa palpabile il malcontento della nobilitas tradizionale (per quanto assai ridotta rispetto al passato) per il nuovo regime. Così Augusto, nel 23 a.C., per riassorbire questo malcontento e nello stesso tempo rafforzare il proprio potere, fa alcune concessioni: scorpora dal proprio territorio imperiale 4 province assegnandole alla Repubblica e depone il consolato (apre così dei posti per nobili ambiziosi); in cambio pretende la tribunicia potestas a vita e un imperium maius (comando supremo) su tutte le forze armate.

Così il potere imperiale di Augusto si realizza come un sistema internazionale in cui coesistono vari stati (la Repubblica con le sue province, il territorio imperiale con le sue province e alcuni stati vassalli), ciascuno dei quali governa la propria politica interna mentre la politica estera e le forze armate sono in mano all’apparato di potere imperiale. Un assetto politico che è espressione dei nuovi equilibri socio-economici: ridimensionata la grande proprietà terriera della vecchia nobilitas, aperte alla borghesia nuove possibilità di arricchimento con lo sviluppo dei traffici mediterranei (in un mondo romano ormai “pacificato”) e con la formazione di una burocrazia imperiale, sistemato nell’esercito o congedato con terre il proletariato militare, non ci sono più ostacoli al consenso delle classi alte verso un sistema di potere che garantisce la loro posizione dominante.

A cura del Prof. Dario Vota

Bibliografia consigliata

A. FRASCHETTI, Augusto, Bari (Laterza, Economica) 2013
W. ECK, Augusto e il suo tempo, Bologna (Il Mulino) 2010
L. CANFORA, La prima marcia su Roma, Bari (Laterza, Economica) 2014