A differenza del resto dell’Italia del nord, ancora verso la metà del I secolo a.C. le zone montane dell’arco alpino occidentale restavano separate dal mondo romano, perché fino a quel momento Roma non aveva avuto interesse a sottomettere le zone alpine, non dovendo collegarsi direttamente con suoi territori situati appena al di là delle Alpi, e perché la mentalità dei Romani guardava con paura alle regioni alpine (aspre, difficili da attraversare, piene di pericoli) e con diffidenza alle popolazioni che le abitavano (ritenute selvagge nei modi di vivere e infide nei comportamenti).
Ma dopo la conquista della Gallia (conclusa nel 52 da Giulio Cesare), il settore ovest delle Alpi cominciò ad interessare di più i Romani in quanto zona-cerniera tra Italia e Gallia. Già Cesare aveva cercato, ad esempio, di garantirsi la sicurezza dei transiti lungo la valle di Susa attraverso un probabile accordo con il capo locale (forse Donno). Ma è soprattutto con Augusto (dopo il 30 a.C.) che la zona alpina diventò un preciso obiettivo per Roma, nel quadro del progetto augusteo di conquista della Germania: diventava importante per Roma assicurarsi un pieno controllo dei passi alpini e delle vie che conducevano ad essi, e, una volta assicurato questo controllo, stimolare lo sviluppo di centri subalpini che potessero fare da base per i transiti verso l’oltralpe.
Nel quadro delle guerre alpine di Augusto (cominciate nel 25 a.C. con l’occupazione della Valle d’Aosta e ufficialmente concluse e celebrate con l’erezione del Trofeo di La Turbie nel 7-6 a.C.), il passaggio delle Alpi Cozie sotto Roma avvenne in modo un po’ particolare. Qui Roma ottenne il controllo del territorio, più che con operazioni militari, con la diplomazia: grazie a trattative condotte probabilmente da M. Vipsanio Agrippa con il re locale Cozio figlio di Donno, si arrivò nel 13 a.C. a un compromesso, con il quale Cozio si sottometteva a Roma (evitando così i danni che un intervento armato romano avrebbe arrecato alle popolazioni locali) e in cambio manteneva la sua autorità, venendo nominato da Augustopraefectus di un territorio sui due versanti delle Alpi Cozie. Roma infatti aveva interesse a servirsi di un capo locale che poteva garantire la stabilità di quella zona e soprattutto la sicurezza dei transiti attraverso un valico importante come il Monginevro.
L’accordo ebbe il suo simbolo monumentale nella costruzione dell’Arco di Susa. Eretto lungo la strada che saliva verso l’alta valle, sull’altura del Castello ma non proprio nel punto più alto probabilmente per rispettare la sacralità di un’area di culto pre-romana (posta dove oggi si vedono le arcate dell’acquedotto tardo-imperiale), è uno dei quattro archi di epoca augustea oggi esistenti in Italia (ed è oggetto in questi mesi di vari studi specialistici promossi dalla società “Segusium”, che culmineranno nell’aprile 2014 in un importante convegno in occasione del bimillenario della morte dell’imperatore Augusto).
Con le facciate inquadrate da due semicolonne corinzie posate su zoccoli, il fornice alto (un terzo in più della larghezza), l’archivolto liscio che poggia su due pilastri, la trabeazione composta da architrave a fasce, fregio figurato e cornice a mensole decorate, l’attico con l’iscrizione, il monumento segusino appare di una mole slanciata ed elegante; anche se troncato nella sua altezza odierna (m 13,30 nel punto massimo) dalla scomparsa della parte superiore dell’attico, il profilo è alleggerito dal colore chiaro del marmo, solo un po’ ingiallito dalla patina del tempo, e ben si inquadra nella cornice naturale che gli fa da sfondo, coronata dalla cima maestosa del Rocciamelone. Il fregio figurato a rilievo, probabile opera di artisti locali, nella semplicità del suo stile narrativo, evoca le cerimonie rituali che ufficializzarono l’annessione all’Impero delle 14 civitates di Cozio e l’insediamento di costui come praefectus: sul lato nord il sacrificio offerto a Giove dal legatus di Augusto alla presenza di Cozio e del figio maggiore Donno II; sul lato ovest il giuramento di fedeltà all’imperatore dei 14 capi-tribù che hanno appena ricevuto il nuovo status giuridico, sempre presenti Cozio e il legatus; sul lato sud un altro sacrificio officiato da Cozio in occasione della dedica dell’arco (il lato est è quasi tutto rovinato e illeggibile). Il monumento fu inaugurato tra il 9 e l’8 a.C., come si evince dai titoli attribuiti ad Augusto nell’iscrizione dedicatoria sull’attico.
Fu quello anche l’atto di nascita di Susa romana (Segusio) come centro cittadino: nulla si sa di un eventuale villaggio pre-romano, ma in ogni caso l’impianto urbanistico del nuovo insediamento fu progettato secondo i criteri romani di un tessuto con vie ortogonali fin dove possibile. Sull’altura presso l’arco sorse il praetorium, sede di Cozio e centro direttivo della prefettura (i cui resti portati alla luce potranno essere visibili in un percorso archeologico progettato nell’ambito del riallestimento del castello come Museo Archeologico di Susa). In basso, da un ponte sulla Dora a nord dell’attuale piazza Savoia entrava in città la strada delle Gallie, che attraversava il foro cittadino, di cui l’archeologia ha messo in luce vari elementi monumentali: nella parte nord della piazza le imponenti fondazioni del podio di un tempio che doveva essere l’edificio religioso più importante della città, e a sud, dove la strada cominciava a salire verso l’Arco, un tempietto (oggi non più visibile) interpretato come heroon(sepolcro e luogo di venerazione) di Cozio I, presso cui poteva sorgere anche un complesso di statue, come indicato dal ritrovamento più di un secolo fa della bellissima testa bronzea di Agrippa (oggi al Metropolitan Museum di New York) con relativa iscrizione dedicatoria.
La città si sviluppò nel corso del I secolo d.C., al tempo dei tre prefetti cozii (Cozio I, Donno II e Cozio II, quest’ultimo morto nel 63) con vicende che ci sono sconosciute, ma secondo modi di vita sempre più segnati in senso romanizzante, come si può notare dalla nutrita serie di epigrafi da Susa e dintorni, come quelle esposte nel Lapidarium del Seminario, che ci offrono varie informazioni su segusini di 2000 anni fa (almeno su quelli abbastanza benestanti da permettersi di far fissare su pietra un ricordo funerario o una dedica cultuale): da esponenti di estrazione indigena vissuti nei tempi di poco successivi all’entrata nel mondo romano che vollero mantenere i loro nomi di origine celtica (come Adnama figlia diTroucillus con il marito Uragonius o Divicta figlia di Mogetius, in lapidi della prima metà del I secolo) a un benefattore degli abitanti di un quartiere segusino (quel Ti. Iulius Quadratus che a metà del I secolo o poco dopo donò per lascito testamentario un edificio di pubblica utilità) al ricco emigrato da altre zone che fece erigere un’imponente tomba di famiglia (quel Sextus Decumius ricordato su una grande lastra marmorea, ancora della prima metà del I secolo) all’ex-schiava fiera di aver potuto preparare una degna sepoltura per sé e per la figlia (Iulia Mucia liberta di Argentilla) all’amministratore municipale che volle ricordare con orgoglio in una dedica sacra le cariche da lui rivestite (P. Vibius Clemens, che fu decurio eduovir della sua città in anni a cavallo tra I e II secolo).
In una zona periferica della città fu impiantato nel II secolo un anfiteatro, edificio adibito a spettacoli che testimonia come anche a Segusiol’adattamento ai modi di vita romani avesse diffuso il gusto per divertimenti tipici dei Romani. Riportato alla luce mezzo secolo fa, sfruttava una conca naturale con un lato dell’ellisse gradinata appoggiato al pendio della collina e l’altro costruito sostenendo le gradinate su un corridoio di servizio. Nella seconda metà del III secolo, nel contesto di un periodo di insicurezza generato dalla costante minaccia di invasioni che colpì tutta l’Italia, anche Segusio si dotò per esigenze difensive di una cinta muraria, che restrinse però l’abitato a una forma urbana triangolare, ottenuta sacrificando tutta la vecchia zona del foro, che fu in parte demolita per ottenere una spianata più facilmente difendibile. La linea delle mura era rafforzata da torri circolari disposte a intervalli non regolari. Nonostante modifiche più volte intervenute tra medioevo ed età moderna e il parziale inglobamento in case ancora oggi abitate, ampi tratti delle mura sono ancora ben visibili e in alcuni punti è riconoscibile l’originaria muratura romana. Tra le porte cittadine è da ammirare la Porta Savoia (un tempo detta Porta del Paradiso per l’esistenza lì nei pressi di un’area cimiteriale o parvisium) con due grandi torri circolari collegate alla parete centrale che sormonta l’unico fornice.
Agli inizi del IV secolo la città dovette subire l’assalto armato dell’esercito di Costantino (nel 312) e mezzo secolo dopo lo storico Ammiano Marcellino vi passò lasciando una preziosa testimonianza sulle sue mura e sull’heroon di Cozio, segnalando così la sopravvivenza di lunga durata del ricordo del personaggio che aveva guidato la svolta epocale dell’ingresso delle terre coziane nel mondo romano.
A cura di Segusium, società di ricerche e studi valsusini